Da circa 25 anni sono seguito da “Vita nella giugla”, un flipper degli anni ’70 ispirato a tarzan e amici. Quando avevo l’età per andare in sala giochi il flipper era ancora in voga, ma già un oggetto semi schifato da noi ipergiovani attratti come falene dalla luce dei pixel dei primi videogiochi. Il flipper sembrava uno strano arnese per matusa il cui unico scopo era far schizzare una palla d’acciaio lungo percorsi scoscesi o contro gommine respingenti. Ora che matusa lo sono anch’io, posso apprezzare quest’arte in forma ludica. Mi ricordo che un tempo quasi in ogni bar era d’obbligo il flipper. Poi il flipper più videogioco. Poi solo videogioco. Poi videogioco e tv. Poi tv e basta, poi tv più slot machines, ma gioca responsabile eh?
Vista in questa prospettiva il flipper sembra far parte di un’epoca più civilizzata, quando si usavano le spade laser per tagliare in due le persone, come direbbe Obi-Wan Kenobi. Quando Guccini spillava birre in Radiofreccia sullo sfondo c’era proprio un flipper identico al mio. Così dopo anni un cui è stato lasciato a fare altro (rifugio per gatti, appoggio per suppellettili, etc.) e a ingombrare ampie fette di casa facendone più che altro arredamento, ho deciso di rimetterci mano. Tutte le gomme erano cotte dal tempo. La palla incastrata in un cumulo di polvere filtrata negli anni sotto il vetro. Sono riuscito a riaprire il vano monete da anni una specie di forziere inespugnabile per trovare un tesoretto fatto di 100 lire. Ah la lira! Ah la tauromachia! L’ho ripulito, sostituito le gomme, lucidato le gambe aggredite dalla ruggine.
La pancia del flipper è come un circuito elettronico ingrandito migliaia di volte. Sistemi “binari”, elementari transistor, cancelletti, ponti, sistemi interamente elettromeccanici per reagire agli input della palla o alle nostre azioni. Reazioni molto rumorose, come fosse un’auto d’epoca.
Il sistema che manda il flipper in tilt non è altro che un’asticella con un peso a piombo in fondo. L’asta ha un anello intorno. Se l’asta tocca l’anello significa che abbiamo scosso in maniera esagerata il flipper e il flipper ha uno svenimento come un uomo colpito in testa da una legnata.
E’ lì che mi è venuta l’idea dell’androide. Un androide primitivo, ma con un fine lavoro di artigianato alle spalle. Quei meccanismi antichi come gli animatronic che dal 1700 cercavano di riprodurre alcune funzioni o fattezze umane.
Ho pensato che in fondo un oggetto così complesso potesse sviluppare un qualche tipo di sentimento. Come il desiderio di giocare ancora, di essere utilizzato per quello che era. Così l’ho digitalizzato raccontando il sogno di un flipper e siamo tornati a giocare ancora una volta insieme.