Ciao mio capitano.

L’altro ieri gatto Harlock è stato preso dalla Volpe e portato nel bosco.
Era una bella giornata di dicembre e in quel momento uno stormo di storni si librava felice su di noi. E’ stato molto difficile accompagnarlo alle soglie del bosco e vederlo scomparire. Molto più difficile di quanto pensassi.
Io non so bene come definire il rapporto che si instaura tra un animale e un essere umano. Credo che nessuna categoria che utilizziamo in genere tra umani calzi perfettamente. Non mi piace l’idea di umanizzare le altre specie. E detesto quei servizi che danno su alcuni Tg in cui si insinua l’idea che l’animale sia migliore dell’uomo e altre forme di animalismo idiota (e destrorso) che mi ricordano che Hitler voleva tanto bene ai suoi cani…
So solo che questi quasi 18 anni di vita insieme ad Harlock sono stati una delle cose belle della vita e che ho imparato tanto da qualcuno così diverso da me.

Il gatto pirata arrivò a casa mia a fine dicembre del 1994. La leggenda vuole che il piccolo mostro grigio, all’epoca di 2 mesi circa, nella gelida Milano dicembrina si fosse infilato nel motore della moto di qualcuno per riscaldarsi. Quando questo qualcuno riaccese la moto stava per mandare arrosto il mio futuro coinquilino e lo portò da un’amica comune.
Ai tempi avevo 23 anni ed ero appena andato a vivere da solo. In precedenza, avevo sempre desiderato avere un gatto tutto mio, ma mia madre si era sempre opposta con alcune motivazioni del tipo danni alla casa e al fatto che il suo trapasso mi avrebbe lasciato male. Harlock e poi Piero, non hanno mai rotto neanche un bicchiere. Quanto al trapasso è effettivamente doloroso, ma con questi ragionamenti la vita non dovrebbe neanche esistere su questo pianeta.
Ad ogni modo, quando mi chiamò Claudia per chiedermi, visto che ero uno dei pochi che viveva da solo, se volevo la bestia non mi sentivo più tanto pronto a prendermi quella responsabilità e posi qualche condizione:
– deve essere grigio e deve essere femmina.
- E’ grigio, ma sul sesso non ci giurerei.
Mi ero fissato sul grigio e sulla femmina perché da piccolo in casa di mia nonna girava una gatta grigia di cui rimane una foto su cui sono sdraiato e poi più tardi mio padre ebbe una lupa, Alice, che era grigio focata.
Il veterinario dissipò il dubbio sul sesso a mio sfavore, ma a quel punto era troppo tardi per tirarsi indietro. All’inizio pensai di essermi preso una specie di diavolo della Tasmania. Harlock soffiava incazzato e la sua rabbia/paura verso il mondo gli aveva fatto distruggere la cestina di vimini nel tragitto dal veterinario a casa.

Appena arrivato a casa si rifugiò dietro all’armadio. Ogni tanto usciva per mangiare, poi soffiava e tornava dietro all’armadio. Decisi una terapia drastica. Tappai ogni via di fuga con cuscini, poi lo prendevo di forza e lo accarezzavo per ore. Lui alternava fusa a soffi, ma dopo tre giorni il cambio fu radicale e non ebbe più paura di nessuno, non soffiò mai più e divenne il gatto che imparai a conoscere negli anni. Instaurammo da subito un patto, come direbbe Apollinaire, basato sulla libertà come regola.
Aprii un buco sul fronte e uno sul retro della casa affinché potesse uscire sia sul balcone che nel cortile. Certamente c’era il rischio che non tornasse più o che cadesse di sotto, anche perché aveva un grande spirito da esploratore, ma segregarlo in casa sarebbe stato contrario al patto. Il problema era che non aveva una grande intelligenza pratica e, forse perché abituato alle stelle, l’orientamento sulla terra qualche volta non funzionava. Così è capitato di doverlo andare a recuperare dopo qualche giorno di sparizione nel portone vicino e un paio di volte lo ritrovai a notte fonda nel cortile di una scuola non vicinissima.

Lo chiamavo e lui rispondeva correndo disperato, ci abbracciavamo e tornavamo a casa pronti per una nuova avventura. Era curioso di tutto e di tutti. Durante la prima nevicata uscì di corsa e camminò sul cornicione sdrucciolevole del balcone osservando i fiocchi che cadevano tutt’intorno. E si giocava. Per ore, per giornate intere. Mi sarei laureato senz’altro prima se non avessi impiegato metà del mio tempo a giocare con la piccola tigre. Alle 18 in punto poi scattava l’ora della pazzia. Harlock cominciava a ruotare la testa in modo diabolico. Allora lo facevo anche io e lui si metteva nella posizione che io chiamavo del “basilisco”, un drago mitologico pieno di zampe. Inarcava la schiena e avanzava con le quattro zampe insieme di lato. A quel punto ci si faceva gli agguati a vicenda. All’aperto o al chiuso ci si inseguiva scambiandoci le parti. A volte prendevo uno straccio da cucina e mi nascondevo dietro lo stipite della porta. A quel punto scattava la pausa sergioleonina carica di tensione. Harlock prendeva la rincorsa poi scattava più velocemente possibile mentre io cercavo di metterlo nel sacco. Quando leggevo il giornale il rumore della carta lo faceva ingazzurrire e si tuffava a pesce sotto le pagine. Dopo 5 minuti il giornale era un insieme di striscioline. La stessa cosa, ma senza danni, accadeva quando si rifaceva il letto. Sotto il lenzuolo correva come un topone grigio.
Cucinavamo insieme. Quando ero ai fornelli saliva dal frigo sulla mensola della cucina e da lì si sdraiava sul collo. A quel punto allungava la zampa e mi faceva da assaggiatore. Si innamorava di tutto, assaggiava tutto. Si sarebbe detto che era un tipo con uno spiccato senso dell’ironia, umanizzando un po’ la cosa. Sicuramente mi faceva ridere molto. Tutte queste cose sono molto normali per qualunque felino, ma c’erano poi una serie di comportamenti che ricordavano molto più un cane che un gatto. Per questo lo chiamavo cangatto o gane.

Ad esempio, in primavera sentiva quando arrivavo in bicicletta dalla piazza e metteva la testa fuori dal balcone. Cominciava così a chiamare e appena entravo in casa lui usciva dall’altro buco e correva ululando giù per le scale. Non riuscivo neanche a legare la bici che era già tra le mie gambe. A questo punto partiva di nuovo una corsa sfrenata avanti e indietro lungo il cortile. D’inverno invece era più incline a dormire e allora riuscivo a entrare in cortile senza che si svegliasse. Nessuno mi credeva quando dicevo che bastava un minimo di richiamo per farlo scendere, ma venivano subito smentiti da quella testa che sbucava dal muro e correva lungo la ringhiera e arrivava festoso. Questa routine era una delle scene più belle della giornata.
Probabilmente la sua caninità si sviluppò a contatto con i lupi che avevamo al mare. Si teneva a distanza, ma non ne aveva paura. Se qualche lupo si avvicinava troppo per annusarlo lo redarguiva gentilmente con zampate senza unghie. Questa è un’altra cosa che mi ha sempre stupito degli animali. La consapevolezza di poter far male e la capacità di dosare la propria forza nei confronti degli altri. I gatti sono delle piccole armi micidiali ed è solo perché sono di taglia modesta che li consideriamo, a torto, meno pericolosi di un cane. Un cane (solo) lo si tiene a bada abbastanza facilmente, un gatto molto meno come sanno bene i veterinari. Comunque Harlock il gentile è sempre stato attento a tutti e non ha mai fatto male a nessuno. Ho conosciuto tanti gatti isterici pronti a lasciarti l’impronta sulla faccia quando un momento prima sembravano socievoli. Harlock era il perfetto gatto da lasciare insieme a un bambino.

Quando uscivamo con i lupi per delle passeggiate nel bosco lui si accodava, ma a volte superava tutti di slancio e poi ci aspettava. Non dimenticherò mai la faccia dei lupi quando, lanciando un bastone per loro, vidi Harlock scattare per primo e afferrarlo. I lupi, che erano molto buoni, rimasero al loro posto più straniti che indispettiti.
Un tratto distintivo del pirata peloso era il suo coraggio, ai limiti dell’incoscienza. Con il tempo il suo nome, tratto da un cartone che amavo molto da piccolo che parlava di un pirata spaziale coraggioso e generoso, divenne sempre più azzeccato. Un giorno tornò da una battuta di caccia senza un dente. Poi senza un pezzo di orecchio, poi con un buco di mezzo centimetro su una gamba da parte a parte. Un po’ di vite se le deve essere giocate tra i rovi liguri andando a cacciare gente più grossa di lui. Era un buon cacciatore in effetti, soprattutto di volatili. Un’altra scena mitica avvenne sempre a Milano. Ero appoggiato alla ringhiera del balcone e lui stava sotto nascosto tra le foglie delle piante. Dalla piazza partì un passero diretto verso di noi. Harlock lo vide e con un tempismo perfetto allungò la testa fuori dalla ringhiera giusto in tempo perché lo stolto gli finisse in bocca come in un cartone animato di Silvetro e Titti. Sono riuscito a salvare il volatile prima che, come in altre occasioni, me lo smontasse per tutta la casa lasciandomi il compito di rimontarlo come un puzzle. In una notte d’estate stavo dormendo nella stanza piccola perché sul soppalco faceva troppo caldo. Nel buio più totale sento a un certo punto micione che passeggia sulla mia panza come faceva spesso. Si ferma e mi lascia qualcosa in faccia di peloso. Mi sono messo la mano in faccia e mi sono reso subito conto che la cosa pelosa era anche viva e feci un salto sul letto scaraventando la cosa sul pavimento. Accesa la luce vidi che era un piccolo pipistrello terrorizzato. Harlock era molto fiero della cattura, ma non gli aveva fatto male. Lo raccattai e lo lasciai andare tenendo con l’altra mano la belva in cerca di approvazione.

Capitava spesso di lasciare Harlock ad altri da tenere.
E io li avvertivo:
– guarda noterai che è uno strano gatto, molto buono, ma anche particolare.
- Sì sì ognuno dice del suo gatto che è particolare.
Quando tornavo a riprenderlo.
- Effettivamente il tuo è un gatto particolare.
Harlock aveva uno strano concetto del territorio, o meglio, lo strano era che non aveva proprio il concetto di territorialità. Cioè come tutti i gatti segnava i posti con della profumatissima pipì. Ho speso parecchio in fiori per farmi perdonare le pisciate sugli zerbini dei vicini, ma quello che faceva specie era il rapporto con i suoi simili. Lasciava entrare in casa chiunque e a nessuno mai faceva la voce grossa. Si avvicinava serafico allo straniero che normalmente lo minacciava. Non faceva una piega che fossero maschi o femmine. Si avvicinava sempre a salutare a rischio degli occhi e in breve tempo tranquillizzava l’alieno.

C’è un episodio che mi ha sempre lasciato di sasso. Un giorno nel nostro cortile di Milano arrivò un gatto molto acciaccato. Aveva una gamba storta. Forse era stato tirato sotto da un’auto o chissà. Si era rifugiato in un posto molto scomodo da raggiungere e non voleva né mangiare né farsi prendere. Harlock scese di corsa a vedere e si diresse dritto verso di lui. Rimase lì tutto il giorno a un palmo di naso. Ogni tanto gli miagolava qualcosa. La sera gli diedi la sua solita sbobba che preparavo con pazienza ogni due giorni. Harlock non mangiò un granché. Tornò subito fuori in cortile dal gatto bianco acciaccato. Quando scese la notte cominciò tutta una serie di versi. A un certo punto lo sentivo avvicinarsi lungo le scale con i versi sempre più forti. Poi entrò in casa. Vidi tutta la scena dal soppalco. Harlock entrò continuando a verseggiare. Poco dopo entrò anche il gatto bianco zoppo. Lo condusse verso la sua ciotola e finalmente il gatto bianco mangiò con Harlock di fronte. Il giorno dopo riuscimmo a prendere il gatto bianco e a portarlo dal veterinario.
Non fu un episodio isolato, era proprio la sua natura. Qualche anno dopo trovai Piero, un gatto un po’ stordito che prese il nome dal fatto che aveva l’aria ciula e la magrezza di Piero Fassino. La magrezza ora gli è passata, l’aria ciula no. Era estremamente agitato e passava da momenti di calma a momenti di selvaggio terrore. Di nuovo ci pensò Harlock. Tre giorni di soffiate, minacce e toni aggressivi da parte di Piero non smossero il pirata generoso.
Al quarto giorno Piero era Harlock dipendente. L’inizio di una bella amicizia come si direbbe in Casablanca. Piero è ora un gatto ripieno di bontà.
Ci sarebbero altri mille episodi, ma me li tengo per me. Adesso ripenso che tipo di influenza abbia avuto un così piccolo quadrupede su di me e mi viene da credere che in qualche modo è riuscito a modificare alcuni miei schemi mentali in meglio. Forse alcune decisioni e la capacità di superare alcune paure non ci sarebbero state senza il suo esempio. Dava l’idea che la vita è soprattutto gioia se la passi con le persone giuste e ha lottato per stare nell’unico mondo che conosceva con tutte le sue forze.
Mi ha spiegato che poi bisogna prendere il coraggio per separarsi e allora l’ho accompagnato alle soglie del bosco. Facendo parte degli stupidi miscredenti, credo che non ci rivedremo mai, ma un amico comune mi ha detto che i pirati non muoiono mai.

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